Ingurgitando cascate sferzanti di tramontana
l´anima spurga saccenza,
emenda follie,
erutta magmatico fiele sulfureo,
e masticando ruggine amara
si flette sull´adamantina e diafana lucentezza
di un riverbero di quiete,
emigra dentro oceani di cieli audaci
dove lo sguardo viene sbalzato fuori
dal suo nido avvelenato,
e gli occhi riottosi rimbalzano
tra le sinusoidi incostanti dell´infinito.
il pesce annicchilito e scalpitante,
avviluppato nella rete,
succhia il ferro che rovista il palato,
si dimena convulso e ubriaco d´ira
sulla chiglia che odora di sale e di legno.
all´improvviso guizza come guitto sornione
tra la spuma feroce e fiera,
sciogliendo la rete ruvida del carnefice.
abbeverandosi alle fonti ingannevoli del veleno,
il veleno diviene miele
e allora ci vuole una rottura,
una variazione di rotta,
un ribaltamento rocambolesco.
lo sguardo si sposta
repentino e temerario
lungo altre direzioni,
e osservando la trappola
della capziosa apparenza
scivola via la caparbia ostinazione
della mendace presunzione.
mai stare fermi in un punto,
ma muoversi,
voltarsi,
entrare e uscire da sè,
per vedere la scena,
e schernire ciò che prima era,
perchè ora non è
e domani non sarà
e dunque aborrire il mitridatismo,
aborrire qualsiasi abitudine,
qualsiasi convinzione,
qualsiasi effimera illusione di realtà.
la verità è un frutto acerbo,
è millanteria tragicomica
vomitata dalle labbra tremanti della paura.
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