arte indaco
 
 
 

 

 
Chiara Manganelli
Caduta del sogno infantile
Tra i ricordi del giorno e le attese della notte, mentre il sole ammainava la sua vela violacea e iridescente, una giovane donna stava distesa sulla battigia percossa e picchiata dall´ira giocosa del mare. ma il furore delle onde si faceva via via più acceso, avido, impertinente, minaccioso, e la
spuma gorgogliava e imprecava, torva e sordida, schizzando nell´aria spruzzi della sua saliva salina.
la donna vomitava veemenza e beatitudine dagli occhi ubriachi di scintillante e disarmante vitalità. i suoi pensieri si riversavano nell´oceano e si perdevano nel brulicante e sommesso sciabordio di acque irrequiete e frementi. il suo profilo ricordava le linee spezzate e imprecise di schizzi andalusi disegnati con la sanguigna dalle mani ruvide e coriacee di artisti nomadi e fuggitivi. la sua pelle era la mia, il suo corpo era l´ombra di un io che fui.
adagiata sull´orizzonte, la sagoma indefinita di una barca altera e altezzosa fendeva l´indaco mosto con precisione chirurgica, come un bisturi fende le carni. la sua stiva racchiudeva balocchi e deliziose prelibatezze.
ma la sua carena era fatta di legno marcio e consunto, e la chiglia scricchiolava, cedeva e annaspava quando la tramontana schiaffeggiava e oltraggiava l´oceano. eppure lei aspettava trepidante quella barca, ogni giorno, con fedele, instancabile e doviziosa devozione.
intrecci infiniti di alghe giacevano inerti ai suoi piedi, come corde tessute per calarsi negli abissi del vento e giungere fino al ventre di un ammaliante scrigno satollo di inimmaginabili segreti. costellazioni di conchiglie abbarbicate su speroni scoscesi divenivano chiassosi ed esaltanti monili con cui addobbare mani affusolate e inquiete, e vesti con cui circuire e avviluppare corpi discinti e lascivi.
l´incauta principessa ignorava la differenza tra realtà e sogni di realtà.
la clemenza dell´illusione cullava le sue membra e difendeva dal dolore i suoi sospiri fragili.
e il cielo, seppur rabbruscato e plumbeo, per lei era sempre diafano e privo di qualsiasi minaccioso nembo grazie all´alchimia sapiente e paziente di placidi e benevoli folletti incantatori.
i rayogrammi del passato e del futuro si mischiavano e incedevano accompagnati da sardoniche sarabande e seducenti milonghe. il senso era quella barca traballante, sempre capace di attraccare in un presente lucente e lineare.
grazie ad essa ogni riflesso d´anima riluceva secondo un equilibrio perfetto e solare.
la chiatta profondeva misteri e avvenenti bellezze rubati a mondi lontani. la sua àncora avvinghiava le spalle scarne della ragazza, ed ella gettava i suoi pianti e le sue gioie in mezzo ai mozzi chini sulla prua.
spezie, speranze e profumi orientali corrodevano la pelle, e lo squagliarsi dei sogni si celava dietro il suono suadente di dolci nenie africane in cui indugiare e a cui abbandonarsi inerme.
intanto mille serpenti subdoli si rigeneravano in fondo a biechi baratri intrisi di ambigue metamorfosi, strisciando e sibilando infide promesse. fu impossibile, ad un certo punto, ignorare l´avanzare inesorabile di ghignanti e crudeli megere che affollavano l´aria ed esalavano putride essenze di sofferenza.
lei, rabdomante rutilante, riluttò ad accettare la diserzione della magia.
continuò, caparbia e ostinata, a cercare timidi e teneri rigagnoli d´acqua, anche adulterata.
l´elegia mesta della frammentazione esplose maligna e furtiva.
un folle e impietoso chiasma mischiò e invertì l´ordine dei sentimenti con subdola voracità.
l´accorata e fumante sofferenza s´incagliò sulle ossa bianche di genti trasformate in tetri e truci fantasmi.
la fine del sogno infantile generò l´inizio dell´adulta realtà sognante.
mai fu possibile discernere il delirio onirico dalla reale realtà.
ora due mondi antitetici e complementari camminano paralleli, si intrecciano e si plasmano a vicenda. dove sia la vita vera ella non è in grado di stabilirlo. vive sospesa, precipitando, secondo logiche verticali e trasversali, attraverso dimensioni non lineari di temporalità; logiche forse circolari, forse puntuali, dove nell´attimo è racchiusa l´eternità.
e così il mondo interno e quello esterno si fondono e si compenetrano, pur nella loro logorante dualità. ma allora perché esistono maledetti intrecci di sevizie e di laceranti dolori se i tempi, i luoghi e i mondi aderiscono al nostro io e da lì si dipanano? forse perché, per fortuna, non siamo
onnipotenti, ci mancano miliardi di tessere per capire e introiettare il mosaico, e tante di queste tessere sono nelle mani di esseri umani che, per quanto possiamo amare, odiare, sfiorare, lambire, penetrare, sono altro da noi, vivono nel loro tempo, nel loro mondo e nei loro luoghi. a volte ci si incontra e ci si sincronizza su audaci e meravigliose gioie, altre volte si allunga disperatamente una mano ma non ci si riesce a toccare, scalfire, perché entrare in altri universi spesso
è arduo e impossibile. oppure si crede e ci si illude di stabilire un contatto, di gustare e coltivare l´intimità altrui, ma poi ci si invischia in laidi inganni, in vili e meschini ricatti, in perversi giochi assurdi e stremanti.
e così rimaniamo, come mendichi infreddoliti e intirizziti, fuori, dinnanzi a porte sbarrate, a elemosinare un senso che mai troveremo, né negli altri, né, spesso, in noi stessi.
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